1815 – Passaporto – ” Ducati di Parma Piacenza e Guastalla – ” arciduchessa Maria Luigia 1815—-Rilasciato -a-Parma

1815 – Passaporto – ” Ducati di Parma Piacenza e Guastalla – ” arciduchessa Maria Luigia 1815—-Rilasciato -a-Parma
  Art.Nr.0750
 La seconda reggenza e il crollo dell’impero

Maria Luisa con suo figlio Napoleone II. Dipinto di François Gérard, 1813.

Le conseguenze della sconfitta furono notevoli: la Francia fu ridimensionata ai confini che aveva al tempo della Repubblica. All’interno del paese ormai erano molte le persone che non inneggiavano più all’imperatore, soprattutto a causa del raddoppio delle tasse e del reclutamento di 300.000 uomini. L’Austria intervenne a favore della Francia per evitare che fosse invasa: gli alleati si impegnavano a riconoscere la dinastia dei Bonaparte e i confini naturali in cambio della rinuncia al dominio su Olanda, Germania, Polonia, Italia e Spagna. Napoleone, però, rifiutò la proposta. In risposta a ciò gli alleati si preparavano a invadere la Francia.

Il 1814 non si aprì in maniera positiva; Maria Luisa era affranta dalla disperazione e confidò ad Ortensia: «Porto sfortuna dovunque vado. Tutti coloro con cui ho avuto a che fare ne sono stati più o meno toccati, e fin dall’infanzia non ho fatto che passar la vita a scappare».]Il 23 gennaio Maria Luisa fu nominata reggente per la seconda volta. La mattina del 25 Napoleone disse addio al figlio e alla moglie in lacrime. Non si sarebbero mai più rivisti. Nelle lettere che la reggente inviava al marito non mostrava affatto una situazione positiva: lei era molto malinconica, donne e bambini abbandonavano Parigi, i quadri e i tesori del Louvre venivano messi al sicuro. L’8 febbraio 1814 Napoleone scrisse a suo fratello Giuseppe che se lui fosse morto, l’imperatrice e il principe ereditario sarebbero dovuti andare a  Rambouillet piuttosto che finire nelle mani degli austriaci: «Preferirei che mio figlio venisse strozzato, anziché vederlo mai a Vienna, educato da principe austriaco».

Maria Luisa scriveva al marito confidando nella pace: «Adesso non bramo che la pace; lontano da te mi sento così derelitta e così triste, che tutti i miei desideri si restringono a questo solo». Napoleone invogliò di nuovo la moglie a scrivere a suo padre chiedendogli di cambiar partito, ma Francesco I fu irremovibile. Un’ennesima trattativa di pace, iniziata già il 5 febbraio a Châtillon-sur-Seine, si rivelò fallimentare. Tra il 20 e il 21 marzo Napoleone fu sconfitto nella battaglia di Arcis-sur-Aube; in seguito, fece l’errore di cercare di cogliere il nemico alle spalle invece di fermarlo davanti a Parigi. Gli alleati mandarono 8.000 uomini dietro a Napoleone, 180.000 puntavano sulla capitale. La città era nel caos e il 28 marzo, durante il Consiglio, il Ministro della Guerra avanzò l’ipotesi di far evacuare l’imperatrice e il principe ereditario. Gli altri ministri, però, decisero che la reggente rimanesse a Parigi. Intervenne allora Giuseppe che lesse gli espliciti ordini dell’imperatore scrittogli in una lettera del 16 marzo: se fosse stato impossibile difendere la città, sua moglie e suo figlio avrebbero dovuto lasciare la capitale e dirigersi verso la Loira.

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