1855-Società Mineralogica Bolognese—-Azione da 100 scudi romani

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1855 Societa’ Mineralogica Bolognese..Azione da 100 Scudi (532 Lire Italiane)   Serie Prima e Terza—-La Società Mineralogica Bolognese ottiene il 24 gennaio la privativa per lo sfruttamento di miniere “per quella parte delle Legazioni di Bologna e Ravenna che giace al mezzodì della Via Emilia”. L’atto formale di costituzione della Società, davanti al notaio Mandrioli, è del 31 gennaio 1848. Il capitale iniziale è di 25.000 scudi diviso in 252 azioni. Tra i membri fondatori vi sono il marchese Carlo Bevilacqua, Emilio Loup, eletto presidente, Livio Zambeccari e il marchese Luigi Pizzardi. Il primo rinvenimento importante si avrà nel 1854 a Bisano, nella valle dell’ Idice. Nel 1856 la Società avrà in corso di escavazione quattro miniere di rame. Il presidente Emilio Loup presenterà con orgoglio campioni di minerali provenienti da queste miniere nel corso della Esposizione industriale e artistica della provincia.

Emilio Loup è il presidente, ma molto si deve a lavoro del geologo Giacomo Mazzetti di cui il Loup si avvale. La società riesce a trovare sull’ Appennino bolognese, precisamente a Bisano, un consistente filone di rame. In 25 anni
gli scavi arrivano a 300 metri di profondità. Intanto la cittadina si espande e nelle miniere lavorano più di cento impiegati. Il minerale estratto viene inviato in Gran Bretagna, principalmente a Liverpool. Anche nel comune di Sassonero la società effettua degli scavi. I primi anni di attività sembrano prefigurare un futuro roseo per l’industria estrattiva in Emilia Romagna, ma già con l’unità d’Italia il settore entra in crisi. Così la Società Mineralogica Bolognese accusa un declino inarrestabile che la porta a chiudere definitivamente i battenti nel 1883. Le attività di estrazione a Bisano riprendono più volte fino al 1902, quando il conte Giovanni Codroni, titolare delle concessioni governative, constata il definitivo esaurimento della fonte ramifera. Il 1855, anno in cui la Società Mineralogica Bolognese emana l’azione allo studi oggi, si rivela terribile per il capoluogo emiliano. In città si diffonde un’epidemia di peste che contagia 5 mila persone e ne uccide 3500 morti (su una popolazione di 90 mila abitanti). Le più colpite sono le lavandaie: il morbo, infatti, si propaga attraverso i liquami che finivano nelle acque. Numerosi bolognesi si trasferiscono così in campagna, mentre il comune di Bologna, che è ancora parte dello Stato Pontificio, impiega ingenti risorse economiche per fronteggiare l’epidemia.

Ma il 1855 segna anche una cesura profonda per lo Stato Pontificio di cui Bologna e l’intera Emilia Romagna fa parte. Dalla metà degli anni cinquanta la politica dei Savoia, con il Regno di Sardegna, diventa fortemente anticlericale. A dimostrazione di ciò il 29 maggio 1855 il Parlamento di Torino vara una legge che sopprime gli ordini religiosi e ordina l’incameramento e la vendita di tutti i loro beni. Tra i Savoia e il papato si consuma la rottura definitiva. Nel 1859 l’esercito piemontese invade la Legazione delle Romagne senza una previa dichiarazione di guerra. Il Papa rifiuta l’annessione al regno di Sardegna. Così per realizzarla formalmente, Camillo Benso di Cavour indice dei plebisciti di annessione che si tengono l’11-12 marzo 1860. Alle nuove province viene immediatamente applicata la legge sarda, che comprende la soppressione degli ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni. Il Regno di Sardegna non si ferma qui e si concentra sulla conquista di Marche e Umbria (che comprendeva la Sabina). I piemontesi, l’11 settembre, sferrano l’attacco. La guerra dura una settimana e si conclude con la battaglia decisiva di Castelfidardo, nell’ Anconetano. Il 4 novembre si svolgono i plebisciti di annessione. Perse le Marche, l’Umbria e la Sabina, lo Stato Pontificio è ridotto al solo Lazio. Solo 10 anni più tardi anche questa regione viene annessa al Regno d’Italia sancendo il definitivo tramonto del potere temporale del papato.

Art.Nr,1402

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